VOCE INTENSA DEL 900

05.05.2012 16:09
                  VOCE INTENSA DEL ’900

Testimone vivente dell’inespresso Ad Alda Merini è toccato inaspettatamente in sorte di essere una delle voci femminili più intense del Novecento e di vedersi riconosciuta in vita questa grandezza. Ciò accade raramente ai poeti e ancora più raramente alle donne poete, specie se anticonformiste e dirompenti come Alda. Oggi molti forse sorridono riferendosi a lei, ne parlano ormai come di una diva della poesia, madrina e protagonista di innumerevoli manifestazioni e ammiccano alla sua vecchiaia di poeta povera, insonne, circondata di gatti e di disordine nella sua modesta casa sul Naviglio. Ma pochi oggi sanno ancora pienamente cos’è e cos’è stata la poesia di Alda Merini, quale cammino di autocoscienza, come si diceva negli anni ’70, le ha fatto attraversare la follia senza tradire, anzi potenziando l’alta poesia che la contraddistingue. Alda Merini non è stata una studiosa, una accademica in senso stretto. Ha compiuto pochi studi regolari, si è diplomata come stenodattilografa, in compenso ha avuto alle spalle una famiglia che l’ha sempre incoraggiata a leggere, ad amare la letteratura e la poesia, come lei stessa ricorda in Reato di vita1.[...]Per i critici è molto difficile tentare una catalogazione esauriente dell’intera opera poetica di Alda Merini che è enorme e annovera ancora moltissimi inediti.

[...]Si è tentati di avvicinare la scrittura profondamente autobiografica e passionale, quasi pulsionale di Alda Merini, alla poesia confessional di matrice anglosassone, riconoscervi una parentela con scrittrici come Sylvia Plath o Anne Sexton, a loro volta eredi di grandi universi di poesia emozionale e dell’esperienza disegnati a cavallo fra ‘800 e ‘900 da Emily Dickinson, Emily Bronte o Elisabeth Barret Browning.

[...] Ma, a differenza da loro, Alda Merini non è stata toccata dal tema del suicidio. La sua resurrezione, di cui parla più volte, passa per la Gerico manicomiale, attraversa la terra santa del ricovero, ma riesce a superarli per dirsi, per divenire racconto, mentre le due americane vi precipitano dentro, portandosi dietro un universo allucinatorio di bellezza infinita ma senza salvezza. Forse il cammino cosiddetto confessional di Alda Merini ha radici intuitive, radici di sapienza interiore che avvicinano la sua ricerca a una matrice evangelica, forse dovuta a un’influenza familiare, che le ha permesso di trovare sostegno e linfa nel divenire racconto, confessione, sulla traccia delle Confessioni di Sant’Agostino.

[...]Tutta la poesia di Alda Merini è alla ricerca di questa unità interiore invulnerabile, condizione sentita come postuma, la quotidiana essendo frantumazione, dualismo e dispersione di sé. E’ l’amore, per Alda, a realizzare questa conciliazione degli opposti, proprio come postula la Zambrano quando afferma essere l’amore “l’intermediario tra vita sensibile e contemplazione del vero”, mentre la natura della nostra vita è “dispersività, passività e passionalità” e la verità non può avere la meglio sulla vita se non “innamorandola”, rendendola “resa senza rancore”. Solo nell’amore “le viscere dolenti e rancorose finiscono per diventare di qualcuno”. Nella condizione dell’amore e nella mistica “Essa (l’anima) desidera riunirsi ad un qualcosa che ha la sua stessa natura; è come se non fosse nata intera, come se cercasse quel che le manca e che, non ritrovato, le nega ogni analogia nel mondo stesso in cui cerca”.