VUOTO D'AMORE

15.04.2012 23:12

Pubblicato nel 1991, Vuoto d’amore raccoglie sei gruppi di poesie inedite disposte in ordine cronologico, ad eccezione dell’ultima raccolta, La Terra Santa, già pubblicata nel 1984 dall’editore Scheiwiller, ma da tempo oramai introvabile.

Frequente è il parallelismo che viene delineato tra la vita e l’opera di Alda Merini: effettivamente l’elemento biografico è molto presente nelle sue poesie, con richiami, spesso espliciti, a persone, eventi, situazioni della vita reale. Non fanno eccezione le poesie incluse in questo volume.

 

 

Nella prima raccolta, Il volume del canto (1979 circa), troviamo l’elemento biografico per eccellenza, il primo in assoluto, ossia il momento della nascita dell’autrice: «Sono nata il ventuno in primavera…» oltre a due poesie dedicate a Salvatore Quasimodo, con il quale la poetessa ha intrattenuto rapporti di amicizia e di lavoro. Tre delle sei raccolte portano già nel titolo un esplicito riferimento al dato biografico: Poesie per Charles (1982), Per Michele Pierri e Poesie per Marina (1987-'90), figure di rilievo nella vita dell’autrice. La raccolta intitolata La Gazza Ladra – Venti ritratti (1985) traccia veloci schizzi di autori famosi (Dickinson, Saffo, Plath, Archiloco, Montale, Quasimodo, Manganelli) ma anche di figure anonime ma pur reali (A Mario, Il curato, Padre Camillo, L’ospite) oltre a quello che l’autrice traccia di sé (Alda Merini). L’ultima raccolta, La Terra Santa, è una impietosa rielaborazione della terribile esperienza del manicomio.

 

Pur se così pressante, l’elemento biografico non deve tuttavia diventare l’unica o la principale chiave di lettura della poesia della Merini. Come dice Maria Corti nell’introduzione all’opera, riferendosi all’elemento della follia dell’autrice, «…vi è prima una realtà tragica vissuta in modo allucinato in cui lei è vinta; poi la stessa realtà irrompe nell’universo della memoria e viene proiettata in una visione poetica in cui è lei con la penna in mano a vincere…»:

Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima,
il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola
come una trappola da sacrificio,
è quindi venuto il momento di cantare
una esequie al passato

Il materiale biografico è dunque un punto di partenza da cui l’autrice elabora una visione personale a tratti lucida, a tratti visionaria, metaforica, spesso ermetica della realtà:

… ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.

L’elemento pagano si mescola al cristiano, l’amore ha connotati a volte religiosi e a volte erotici, il linguaggio attinge a piene mani dal lessico amoroso per esprimere una varietà di sentimenti che vanno dall’amore erotico, a quello platonico, a quello religioso o semplicemente amicale:

Ho le stigmate e da sempre,
da quando cioè ho peccato
contro la dura sorte
con un momento d’amore

[…]
dentro le mie turgide mammelle
che da sempre allattano gli angeli
da quando io fui generata.

Frequente è il ricorso a immagini del mito utilizzate in chiave metaforica per dar voce a un sentimento o a una esperienza interiore: dèi e personaggi mitologici popolano le sue rime, spesso ricorre la figura della caverna — (gli antri di follia, le grotte d’orrore) — per rappresentare gli abissi del manicomio e della malattia mentale.

Particolarmente nelle poesie sul manicomio il linguaggio è pregno di immagini e termini attinti alle diverse tradizioni, accostati per creare ossimori e allucinati contrasti. Termini che solitamente rievocano immagini care, leggere, vengono utilizzati per esprimere esperienze terrificanti (compariva il sudore degli orti sacri, / degli orti maledetti degli ulivi l’infame aurora…); la follia spesso sublima nell’esperienza religiosa:

Laggiù, dove morivano i dannati
nell’inferno decadente e folle
nel manicomio infinito,
dove le membra
si avvoltolavano nei lini
come in un sudario semita

[…]
laggiù, nel manicomio
facile era traslare
toccare il paradiso

[…]
laggiù tu vedevi Iddio…

Numerose sono infine le liriche nelle quali la poetessa riflette sulla propria arte poetica

I miei poveri versi
non sono belle, millantate parole,
non sono afrodisiaci folli
da ammannire ai potenti
e a chi voglia blandire la sua sete.
I miei poveri versi
sono brandelli di carne
nera disfatta chiusa
e saltano agli occhi impetuosi …

e sulla missione del poeta

I poeti conclamano il vero,
potrebbero essere dittatori
e forse anche profeti
perché dobbiamo schiacciarli
contro un muro arroventato?
Eppure i poeti sono inermi,
l’algebra dolce del nostro destino.
Hanno un corpo per tutti
e una universale memoria,
perché dobbiamo estirparli
come si sradica l’erba impura?

[…]
Lasciamoli al loro linguaggio, l’esempio
del loro vivere nudo
ci sosterrà fino alla fine del mondo
quando prenderanno le trombe
e suoneranno per noi.

o urla la sua preghiera in faccia alla poesia stessa

O poesia , non venirmi addosso
sei come una montagna pesante,
mi schiacci come un moscerino;
poesia, non schiacciarmi
l’insetto è alacre e insonne,
scalpita dentro la rete,
poesia, ho tanta paura,
non saltarmi addosso, ti prego.