TUTTO D'UN FIATO.............................

28.04.2012 17:25

Dormivo,
e sognavo
che non ero
al mondo.




Anima mia che metti le ali
e sei un bruco possente
ti fa meno male l’oblio
che questo cerchio di velo.
E se diventi farfalla
nessuno pensa più
a ciò che è stato
quando strisciavi per terra
e non volevi le ali.




Apriti o scena, senza panico,
nel bosco assetato della mia fede.
E bestemmiando per gli alacri fuochi
metti la pantomina in un canto e sciogli il burattino.
Poi col filo delle tue spezie
incatenalo a un altare di sogni.
E mandalo a svernare infelice
nella terra amorosa degli uomini.




Ci sono donne che prendono i loro morti
e li aggrovigliano ai loro capelli
e ne fanno sontuosi monili
per il secondo e il terzo matrimonio.
Ci sono donne che vivono
di questa carneficina
e non sentono i palpiti del cuore
che emana dalla loro morte.
Così ci sono giovani pallidi
che solo per il fatto di essere sangue
si credono novellatori o poeti.
Invece la felicità della poesia non va toccata
né dai morti né dagli adulteri.
E’ felice il poeta quando si muove ridente
attraverso il tuo bacio d’amore
che è un saliscendi di morte
che è un abbandono di vita.
Chi non sa amare non sa fare poesia
e chi non sa morire non sa rivivere.
Così nessuno che non sia stato ferito
dal proprio nemico potrà toccare
i vertici della pietà. Non esiste
una battaglia d’amore
e neanche una sconfitta
Esiste solo un’angelica guerra
che l’uomo fa a se stesso
credendo in un fratello azzurro
vestito tutto di nero.



In un luogo sperduto
che è la mia memoria
s’accampa un Dio sconosciuto.
Attende un aureo canto
e non cerca alcun cielo.
Così io certo te
che sei il mio ricordo.




Il genio muore per se stesso
e chiede d’esser sepolto
entro memorie deboli.




Che grande scultore sei tu
che hai scolpito il tuo volto di pietra
tra le mie braccia
e ormai amore morto
mi sei diventato un figlio
ti tengo sulle ginocchia
e piango perché
il ricordo di te
mi pesa come un sepolcro.
 



Sono molto irrequieta
quando mi legano
allo spazio.
 


Quando tu non vieni
le acque del parto
si diffondono in terra
e cade un pensiero meraviglioso
che tu vedi
ed è la fine del mondo nel cuore di una donna
sono verdi i gigli del mio pensiero
e non sono del tutto astratti
io ho altri colori
che non la comune gente
ma quando tu non vieni
le acque del parto si colorano d’olio
e io vorrei uccidere mia madre.




Qualche volta il nostro angelo migliore
depone le uova

 

Amore, getta la lenza
nel cuore degli anni profondi,
dove c’è stagno di sogni,
e vento di bramosia.
Nella cornice del volto,
in queste rughe che ho dentro,
tu troverai mille arpe
per delle corde gitane.
la folla che zingaresca danza
intorno ai miei libri
non sa che sapido sangue
scorre nelle Chimere
e lì dove cadde l’Audace
fiorirono mille destini:
un erpice di amore
che miete vittime ancora.

 

Sulla chiara aderenza del suo viso
Dove balena il ritmico, selvaggio,
sentimento dell’alba
mentre della notturna s’addolora
quiete silvestre e cinge a dominare
il boato del tempo la più cauta
trepida luce, salgono veloci
i profili irrequieti del destino.
Mirabile linguaggio che trascorre
Dalle limpide acque alla vibrata
Forza dell’inumana profezia!
Ora nell’ampia conca dell’eremo
Un soffuso candore si raccoglie
Dalle acque sui rami ed accompagna
Di cenni lacrimevoli il congedo.

 

 




Ora che vedi Dio
Se tu taci
Al di là del mare
Se tu conosci
L’ala dell’Angelo
Se tu lasci la madre terra
Che ti ha così devastato
Ora puoi dire
Che la terra del povero
La terra del poeta
È tutta insanguinata dalla solitudine
E ora che vedi Dio
Riconosci in te stesso
Il fiore della sua lingua.
 

 

Vedessi il volto della mia anima
quando ti vedo e tremo
e diventa foglia d’ascolto.
Vedessi il dito del mio cuore
che ti indica strade sconosciute.
Vedessi il mio amore
che è tenero figlio
che cresce senza padre.

 

 




Si sfaldano le rose della mia avvenenza
piano piano in un terreno consunto.
Non solo petali che ardono di luce
ma solitarie piante
di chi è stato a lungo dimenticato
e non si è più convertito.
Mi hanno lasciato nel pieno del mio ateismo
mentre consumavo un rito d’amore
e qualcosa alle spalle
mentre facevo l’amore con un ragazzo
Mi ha dannato per sempre.
così abbiamo trovato l’inferno della ragione
e non ci siamo rivisti mai più.
Adagio adagio il corpo si è ristretto
lasciando indietro mille similitudini
in cui si sono abbeverati gli asini della terra.
Mangiare petali di rosa non era possibile
ma mangiare marciume è consapevole a tutti.

 




Non sparire nell’azzurro,
ho visto un giorno la tua salma appesa
ferma nel vuoto, pareva che cantasse,
e poi ancora due denti vespertini
rossi di volpe, che avevano preso
di te tutto il conforto della Chiesa.
Non vangare negli orizzonti,
a volte ci son chiuse, poi maremme…
e tu ti nascondevi dentro gli auspici
della demenza, sai, che era un vibrare
dentro le corde del tuo Creatore.
Hai lasciato una lira nel tuo scambio
Di asceta, questa lira polverosa
Che non ha conio in terra straniera,
che si muta soltanto in Paradiso.

 




Adesso sono una pioggia spenta
Dopo che l’orma del tuo cammino
Si è fermata ai miei occhi
Che ciglio devastante il tuo!
Come mi penetri le ossa!
Se piangessi, tu verresti a riprendermi
Ma io ho bisogno del mio dolore
Per poterti capire

 




Il mio primo trafugamento di madre
avvenne in una notte d’estate
quando un pazzo mi prese
e mi adagiò sopra l’erba
e mi fece concepire un figlio.
O mai la luna gridò così tanto
contro le stelle offese,
e mai gridarono tanto i miei visceri,
né il Signore volse mai il capo all’indietro
come in quell’istante preciso
vedendo la mia verginità di madre
offesa dentro a un ludibrio.
Il mio primo trafugamento di donna
avvenne in un angolo oscuro
sotto il calore impetuoso del sesso,
ma nacque una bimba gentile
con un sorriso dolcissimo
e tutto fu perdonato.
Ma io non perdonerò mai
e quel bimbo mi fu tolto dal grembo
e affidato a mani più “sante”,
ma fui io ad essere oltraggiata,
io che salii sopra i cieli
per avere concepito una genesi.

 




Quando avrò alzato in me l’intimo fuoco
che originava già queste bufere
e sarò salda, libera, vitale,
allora sarò sola?
E forse staccherò dalle radici
la rimossa speranza dell’amore,
ricorderò che frutto d’ogni
limite umano è assenza di memoria,
tutta mi affonderò nel divenire…
ma fino a che io tremo dal principio
cui la tua mano mi iniziò da ieri,
ogni attributo vivo che mi preme
giace incomposto nelle tue misure.

 




C’è gente che prende il granito
per farvi battere un cuore.
Dio ci prese la carne e l’anima
mettendo insieme i confini.
La nostra carne così debole, così informe
sogna di essere buttata nel granito
per perdere il cuore.

 




So che un amore
può diventare bianco
come quando si vede un’alba
che si credeva perduta

 




Auguri, le acque del sentimento a volte ti hanno sconvolta
e c’e un genere dolce di poesia che è il canto,
come canta una madre
quando accarezza un figlio,
il piede di una fata che cammina
nel vento, e mentre i tuoi figlioli accedono la vita
tu ritorni ragazza, un gelo da salvare,
l’amore non ha tempo e quando sarai vecchia
ti bacerà i capelli solo la primavera
 

 
 

Colori

S’io riposo, nel lento divenire
Degli occhi, mi soffermo
All’eccesso beato dei colori;
qui non temo più fughe o fantasie
ma la “penetrazione” mi abolisce.
Amo i colori, tempi di un anelito
Inquieto, irresolvibile, vitale,
spiegazione umilissima e sovrana
dei cosmici “perché” del mio respiro.
La luce mi sospinge ma il colore
M’attenua, predicando l’impotenza
Del corpo, bello, ma ancor troppo terrestre.
Ed è per il colore cui mi dono
S’io mi ricordo a tratti del mio aspetto
E quindi del mio limite.
I versi sono polvere chiusa
Di un mio tormento d’amore,
ma fuori l’aria è corretta,
mutevole e dolce ed il sole
ti parla di care promesse,
così quando scrivo
chino il capo nella polvere
e anelo il vento, il sole,
e la mia pelle di donna
contro la pelle di un uomo.
Ah se almeno potessi,
suscitare l’amore
come pendio sicuro al mio destino!
E adagiare il respiro
Fitto dentro le foglie
E ritogliere il senso alla natura!
O se solo potessi
Toccar con dita tremule la luce
Quella gagliarda che ci sboccia in seno,
corpo astrale del nostro viver solo
pur rimanendo pietra, inizio, sponda
tangibile agli dei…
e violare i più chiusi paradisi
solo con la sostanza dell’affetto.
No, non chiudermi ancora nel tuo abbraccio,
atterreresti in me quest’alta vena
che mi inebria dall’oggi e mi matura.
Lasciamo alzare le mie forze al sole,
lascia che mi appassioni dei miei frutti,
lasciami lentamente delirare…
e poi coglimi solo e primo e sempre
nelle notti invocato e nei tuoi lacci
amorosi tu atterrami sovente
come si prende una sventata agnella…

 




Non siate solo stendardi
ma anche terra presente
Non siate solo musica
ma anche silenzio di perla.
Non perdete mai il contatto
del vostro cammino:
ricordatevi che il sangue si ferma
perché non vuole parlare

 

 

Maledizione d’amore

Maledetto te
che hai preso il fiore delle mie labbra
e senza baciarlo l’hai buttato per terra
e poi l’hai mostrato a una fanciulla inerte.
O te maledetto
che hai cambiato i miei giorni
in un orrendo frastuono
e non sento più angeli
ma vipere intorno.

 


INNO ALLA DONNA

Stupenda
immacolata fortuna
per te tutte le culture del
regno
si sono aperte
e tu sei diventata la
regina
delle nostre ombre
per te gli uomini
hanno preso
innumerevoli voli
creato l’alveare del
pensiero
per te donna è sorto
il mormorio dell’acqua
unica grazia
e tremi per i tuoi
incantesimi
che sono nelle tue mani
e tu hai un sogno
per ogni estate
un figlio per ogni pianto
un sospetto d’amore
per ogni capello
ora sei donna tutto un
perdono
e così come ti abita
il pensiero divino
fiorirà in segreto
attorniato
dalla tua grazia.

 




Quando tu non vieni
le acque del parto
si diffondono in terra
e cade un pensiero meraviglioso
che tu vedi
ed è la fine del mondo nel cuore di una donna
sono verdi i gigli del mio pensiero
e non sono del tutto astratti
io ho altri colori
che non la comune gente
ma quando tu non vieni
le acque del parto si colorano d’olio
e io vorrei uccidere mia madre.

 




Il suo sperma bevuto dalle mie labbra
era la comunione con la terra.
Bevevo con la mia magnifica
esultanza
guardando i suoi occhi neri
che fuggivano come gazzelle.
E mai coltre fu più calda e lontana
e mai fu più feroce
il piacere dentro la carne.
Ci spezzavamo in due
come il timone di una nave
che si era aperta per un lungo viaggio.
Avevamo con noi i viveri
per molti anni ancora
i baci e le speranze
e non credevamo più in Dio
perché eravamo felici

 


MARIA

Sulla chiara aderenza del suo viso
Dove balena il ritmico, selvaggio,
sentimento dell’alba
mentre della notturna s’addolora
quiete silvestre e cinge a dominare
il boato del tempo la più cauta
trepida luce, salgono veloci
i profili irrequieti del destino.
Mirabile linguaggio che trascorre
Dalle limpide acque alla vibrata
Forza dell’inumana profezia!
Ora nell’ampia conca dell’eremo
Un soffuso candore si raccoglie
Dalle acque sui rami ed accompagna
Di cenni lacrimevoli il congedo.

 


ORA CHE VEDI DIO

Se tu taci
Al di là del mare
Se tu conosci
L’ala dell’Angelo
Se tu lasci la madre terra
Che ti ha così devastato
Ora puoi dire
Che la terra del povero
La terra del poeta
È tutta insanguinata dalla solitudine
E ora che vedi Dio
Riconosci in te stesso
Il fiore della sua lingua.

 


O GIOVANI

pieni di speranza gelida
che poi diventerà amore
sappiate da un poeta
che l’amore è una spiga d’oro
che cresce nel vostro pensiero
esso abita le cime più alte
e vive nei vostri capelli.
Amavi il mondo del suono
a labbra di luce;
l’amore non si vede
è un’ode che vibra nel giorno,
fa sentire dolcissime le notti.
Giovanetti, scendete lungo i rivi
del vostro linguaggio
prendete la prima parola
portatela alla bocca
e sappiate che basta un segno
per far fiorire un vaso.

 

BIANCO AMORE


So che un amore
può diventare bianco
come quando si vede un’alba
che si credeva perduta

 

RIVERBERO

E’ dolce pensare
che io arda d’amore per te
senza averne mai un riscontro.
Il poeta non serve la gloria di Dio
ma solo la sua gloria
che è un lontano riverbero
della collera divina.

 

Mani roventi

Forse tu hai dentro il tuo corpo
un seme di grande ragione,
ma le tue labbra suadenti
che sanno di tanta ironia
hanno morso più baci
di quanto ne voglia il Signore
come si morde una mela
al colmo della pienezza.
E le tue mani roventi
nude, di maschio deciso
hanno dato più abbracci
di quanto ne valga una messe,
eppure il mio cuore ti canta,
o sposo novello
eppure in me è la sorpresa
di averti accanto a morire
dopo che un fiume di vita
ti ha spinto all’argine pieno.


 


PARADISI
O cielo che lo cerchi in segreto
per ogni terra
senza darlo a vedere
come se fosse un lago in cui morire.
Non so che cosa dire
al mio unico confessore
che parla di paradisi
mai esistiti.

 


I GIORNI E I FIGLI

Sei entrata nelle ombre del sonno
un giorno
e hai riconosciuto il mio volto esangue
allineato come tanti su un’ara sacrificale.
Con la torcia del tuo sapere
hai illuminato le ombre dell’inferno.
Tu, madre immacolata e triste
per cui i giorni sono stati
tanti figli.

 




Suoni per il vento

In cima ad un violino
ci sta forse un respiro
che nessuno raccoglie
perché è un senso d’amore.
Tu suoni per il vento e viaggi
dove la pace sussurra tra le piante
tutta una nostalgia.

 

GOCCIA NUDA

C’era una goccia nuda
appesa al pavimento
come una macchia vuota
nel tuo discernimento,
che vangava la terra
com’ala di orizzonte
densa di millepiedi…
c’era la tua sostanza
pacifica e lontana
che sognava le navi
lanciate al tuo destino,
e una corona nuova
scambiata per rosario
che ti pendeva al labbro
come una croce rossa.

 

GENESI

Vorrei un figlio da te che sia una spada
lucente, come un grido di alta grazia,
che sia pietra, che sia novello Adamo,
lievito del mio sangue e che risolva
più quietamente questa nostra sete.
Ah, se t’amo, lo grido ad ogni vento
gemmando fiori da ogni stanco ramo
e fiorita son tutta e d’ogni velo
vo scerpando il mio lutto
perché genesi sei della mia carne.
Ma il mio cuore, trafitto dall’amore
ha desiderio di mondarsi vivo.
E perciò dammi un figlio delicato,
un bellissimo, vergine viticcio
da allacciare al mio tronco, e tu, possente
olmo, tu padre ricco d’ogni forza pura
mieterai liete ombre alle mie luci.


ALDA MERINI
Le grandi fatiche
Vivono all’interno di grandi riposi


ALDA MERINI
L’unica radice che ho mi fa male
 

 

CROCE ROSSA

C’era una goccia nuda
appesa al pavimento
come una macchia vuota
nel tuo discernimento,
che vangava la terra
com’ala di orizzonte
densa di millepiedi…
C’era la tua sostanza
pacifica e lontana
che sognava le navi
lanciate al tuo destino,
e una corona nuova
scambiata per rosario
che ti pendeva al labbro
come una croce rossa.

 




Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
Mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no, è qualcosa di più:
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare.
 

 

ANIMA

Corpo, ludibrio grigio
con le tue scarlatte voglie
fino a quando mi imprigionerai?
Anima circonflessa,
circonfusa e incapace
anima circoncisa,
che fai distesa nel corpo?